Solo Menti

Luca Pollini

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Milanese amante del mare, mi formo nel bel mezzo degli anni Settanta. Anni tosti, di violenza e di ideologismi a colpi di spranga e di pistola, ma dove l’impegno e la creatività andavano a braccetto. È lì che ho scoperto la radio, la musica, la scrittura. È da allora che ho iniziato a scrivere “cose mie”: prima sui muri, poi sui giornali, quindi sui libri.Ho patito – e non poco – il passaggio dagli “Anni di Piombo” alla “Milano da bere”, quando la “leggerezza” si è contrapposta alla “pesantezza” del decennio precedente, quando si fa largo l’evasione e il non-sense e si sono chiuse le porte all’impegno e alle ideologie, quando anche la cultura diventa “usa e getta”. Quando possedere per valere e apparire per essere erano le nuove direttive. E così che io e molti della mia generazione ci siamo resi conto che tra noi giovani il Che e Karl Marx erano andati in pensione. All’alba dei Novanta divento giornalista professionista. Bel lavoro, bella vita. Anche perché a un certo punto faccio l’inviato di guerra: giro il mondo per raccontare le brutture dell’essere umano in Africa, Sudamerica e anche nella nostra civile Europa. Un’esperienza che mi ha segnato, e non poco, e che mi porto ancora nel profondo del cuore, perché mi ha fatto capire come dare il peso giusto alle cose. Tornato dietro alla scrivania (costavo troppo, non di stipendio ma di assicurazione sulla vita che il datore di lavoro doveva versare ogni volta che partivo) lavoro in diverse redazioni – quotidiani, settimanali, mensili - fino a quando capisco che la professione del giornalista non è più la stessa di quando avevo iniziato, e non solo perché il computer ha sostituito la macchina da scrivere.

Comincio a scrivere libri (saggi, non romanzi), reading (che porto in giro nelle scuole, nei circoli culturali, nelle piazze, persino sulle spiagge) e drammaturgie teatrali. Mi appassiona studiare la trasformazione della società attraverso il cambio di costume, gli oggetti, le arti.

Apro un sito dedicato alla storia del costume italiano (www.retrovisore.net) che diventa un po’ la vetrina di quello che faccio.

L’ultimo libro - La mia storia suona il rock (Tempesta Editore) – è un omaggio alla musica: sono convinto possieda un potere eccezionale: perché diverte, fa sognare, ricordare, evadere, emozionare, comunica informazioni, veicola messaggi e svolge un’importantissima funzione sociale, aiuta a costruire amicizie. Ma non solo: è un prezioso strumento per il ricordo e la ricostruzione di avvenimenti, usanze, sentimenti diffusi negli anni. Ed è seguendo questa traccia che nel mio lavoro – siano essi articoli, libri, reading e spettacoli – ho spesso preso in esame la cronaca e la mutazione dei costumi che hanno avuto come colonna sonora la “mia” musica.

Sia chiaro, nelle mie orecchie è entrato di tutto, non solo roba buona.

Comunque, credo sempre nel rock e rimpiango molto il Parco Lambro (inteso come Festival).

SOLO TRE DOMANDE

  • Mi de­scri­vo con solo tre ag­get­ti­vi
    • Distratto.
    • Caparbio.
    • Inclusivo.
  • Il solo even­to che mi ha cam­bia­to la vita
    • Il Festival del Parco Lambro del 1976.

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