Marco Follini (Roma 1954), deputato dal 1996 al 2006 e senatore dal 2006 al 2013, è stato leader dei giovani democristiani, consigliere di amministrazione della Rai, segretario dell’UDC, vicepresidente del Consiglio. All’attività politica ha sempre affiancato un importante lavoro culturale, che ha portato alla pubblicazione di numerosi libri. Tra gli altri Il tarlo della politica (Rusconi 1988), L’arcipelago democristiano (Laterza 1990), La DC (Il Mulino 2000), La volpe e il leone (Sellerio 2008), L’elogio della pazienza (Mondadori 2010), Io voto Shakespeare (Marsilio 2012), La nebbia del potere (Marsilio 2014), Noia, politica e noia della politica (Sellerio 2017), Democrazia cristiana. Il racconto di un partito (Sellerio 2019) e Via Savoia. Il labirinto di Aldo Moro (La Nave di Teseo 2022). Attualmente è editorialista de La Stampa e presidente della società di produzione televisiva Cross.
Abbiamo parlato con Marco Follini del suo ultimo libro "Beneficio d'inventario", edito da Neri Pozza. "La storia di un padre e (molto meno) di un figlio" è la rivelazione di un segreto che si trasforma in mistero a cui l'autore cerca di trovare una soluzione che non arriverà. Una narrazione che, come scrive Filippo Ceccarelli nella prefazione, accompagna il lettore nella "storia del potere in Italia, ambiguo e fuggevole come sempre è stato, ma come due generazioni l'hanno veramente vissuto".
l'intervista
Dopo aver scritto tanti libri sulla politica e sui suoi protagonisti, per la prima volta affronta questo argomento attraverso la figura di suo padre. Ci può raccontare questa esperienza?
"Ho dedicato tanto tempo e tanta passione alla politica ma non credo che ci sia una linea di confine, una separazione fra la politica e il resto del mondo o il resto della vita, anche privatissima, delle persone. Mio padre, d'altra parte, non è mai stato un dirigente politico di partito in primissima persona, ma è sempre vissuto nelle vicinanze del potere dei suoi anni e si è sempre interessato della vita pubblica più di quanto solitamente non accada. Quindi per me le due cose fanno tutt'uno, non c'è la politica e il resto, più la politica si riempie di aspetti umani, di vicende private, di rivelazioni nascoste e più acquista paradossalmente una sua autenticità. Sì, c'è un registro narrativo diverso rispetto ad altri libri che ho scritto, c'è meno "tecnica" e forse un profilo umano più importante ma esiste anche una sorta di continuità fra questo libro e gli altri. Direi che la riflessione sul potere, su come viene vissuto, su come viene interpretato, su come viene adoperato è il filo conduttore che attraversa tutta la mia vita e, per quel che vale, la mia produzione di libri."
Una telefonata, una rivelazione che si trasforma in un mistero a cui cerca di dare una risposta. Una dichiarazione che instilla un dubbio di cui non trova le prove. È sempre necessario sapere la verità o a volte è meglio lasciare che certi segreti rimangano tali?
"La verità è sempre ambigua, si presta a letture diverse e contrastanti. Io sono sempre spaventato quando, soprattutto in questo campo, nella materia politica più pura, nel potere, nel rapporto tra gli Stati anche oggi con la guerra e la pace, si dà voce a un'opinione che rivendica per sé l'assoluto. Sono tutte opinioni relative, in mezzo alle quali, con fatica, le persone e gli Stati cercano di adoperare le parole giuste e di compiere le scelte più appropriate. Sempre relativamente ai segreti e ai misteri, io penso che c'è, il più delle volte, una zona d'ombra che avvolge anche le grandi scelte che si compiono e il modo in cui le si compie, quindi non tutto è perfettamente trasparente, non tutto è visibile. D'altra parte ogni cosa è soggetta alle interpretazioni e delle imperfezioni delle persone che vi mettono mano. Direi però, molto alla larga, da una visione misterica della storia si ha l'idea che il retroscena sia più importante di quello che accade sotto i nostri occhi e di quello che tutti possiamo giudicare. La dietrologia non aiuta a capire."
Lei e suo padre avete entrambi vissuto intensamente la politica, anche se in modalità molto diverse, quali idee e quali obiettivi avete avuto in comune?
"Quanto a mio padre e alle cose che abbiamo avuto in comune, io fin da piccolo ho avuto con lui un rapporto non voglio dire contrastato perché gli ho voluto molto bene, credo che abbia fatto parte del nostro legame anche l'avere maturato scelte politiche che erano su per giù le stesse, facevamo parte dello stesso partito, io con più spirito di militanza e lui con maggiore distacco. La figura più importante che abbiamo incontrato nella nostra vita è stata quella dell'Onorevole Moro, per lui e per me, ne eravamo tutti e due affascinati e intimiditi contemporaneamente, non abbiamo mai cercato di instaurare rapporti che fossero troppo confidenziali perché ci sembravano non del tutto appropriati, anche se poi io nella mia vita e nel mio percorso ho usufruito, se così posso dire, di molta benevolenza da parte dell'Onorevole Moro negli ultimi mesi della sua vita, prima che fosse rapito e poi ucciso nel modo che tutti sappiamo. C'è un punto però che secondo me è importante perché traccia un confine non tanto tra mio padre e me ma tra quella epoca e quella successiva. Mio padre era un uomo che fondamentalmente credeva nel potere, il potere a lui appariva solido, rassicurante, in qualche misura dispensatore di una certezza. Io al potere credo molto meno perché l'ho visto molto più fragile, molto più esposto ai contraccolpi che la sua azione e anche il suo abuso può mettere in movimento. In questo c'è una distanza generazionale molto profonda. Quella generazione si trovava alle prese con un sistema politico robusto, capace di irradiare sicurezza, capace di infondere certezza alle persone, capace di esprimere solidità. Di lì in poi, negli anni seguenti, noi ci siamo trovati invece alle prese con un potere veramente più timido, balbettante, insicuro di sé e quindi paradossalmente anche portato ad abusare della poca forza di cui disponeva ma in fondo convinto di non essere così decisivo come pretende l'occhio di chi guarda le cose da fuori e da fuori immagina che quel potere sia un monumento alla forza. Tale forse non era negli anni di mio padre ma lo è diventato molto meno e ha perso molta della sua autorevolezza e della sua capacità anche di suggestionare il mondo negli anni che sarebbero venuti dopo."
SOLO TRE DOMANDE
- Mi descrivo con solo tre aggettivi
- Razionale.
- Pigro.
- Discreto.
- Il solo evento che mi ha cambiato la vita
- Poiché la mia vita è soprattutto pubblica, direi l'incontro con Aldo Moro, da bambino o quasi.
- Solo un link socialmente utile
- Non frequento i social. Apprezzo i siti dove sono più i dilemmi che le certezze.
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