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Borgo e la modernità di Rita Concetta Reali

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Non furono sufficienti le possenti mura di Borgo a frenare la tendenza ad assimilare la modernità tecnologica, industriale del tempo. La bicicletta fu il primo prodotto industriale ad entrare a borgo. Essa suscitò stupore, divertimento e perplessità. Le strade sterrate, della campagna circostante, mal tenute e impercorribili, cosparse di buche, avvallamenti e altre anomalie, non si prestavano all’uso del piccolo mezzo di trasporto. Rimase per un breve lasso di tempo un trastullo usato nei viali dei parchi o nei giardini di gente nobile o facoltosa. Il cavallo rimaneva l’unico trasporto sicuro su strade e percorsi accidentati. In città la viabilità era complessivamente più sicura, le vie erano pavimentate e oggetto di una periodica manutenzione. Nei grandi centri urbani la bicicletta ebbe la possibilità di una propagazione veloce data la buona percorribilità delle strade. La sua utilità era indiscutibile, semplice nell’uso, non ingombrante, fattiva e adatta a spostamenti in tutte le direzioni volute dal guidatore ad una velocità imposta dallo stesso. Le ruote si muovevano e giravano grazie al movimento della pressione esercitata dalle gambe e dai piedi. Seguì l’avvento dell’elettricità, questa scoperta fu accolta con grande entusiasmo, la comparsa della lampadina fu, dagli abitanti di Borgo, considerata frutto di un miracolo celeste. L’abolizione di candele, ceri, lumi a petrolio, acetilene ne fu la normale conseguenza, con la piena soddisfazione di potersi servire di un oggetto pratico, pulito e sicuro che non creava nessuna difficoltà nell’accensione, diffondendo luce viva e senza interruzioni. Fu un vero e proprio successo. Altre invenzioni strabilianti furono il telefono, il telegrafo, il grammofono, il treno e l’impianto di linee ferroviarie. Queste innovazioni furono gradite a borgo, altre le reputarono troppo azzardate per gente semplice come loro, furono accolte solo come strane impensabili novità, a loro parere frutto di diavolerie irrealizzabili. Nella vita sociale i dipendenti sia di borgo, che i coloni sparsi nei casolari dell’esteso latifondo, godevano di un benessere reale grazieall’amministrazione voluta da Fabrizio e da sua moglie, Marianna. Ognuno di loro veniva retribuito secondo l’incarico svolto, in più se l’azienda chiudeva la gestione dell’anno in attivo, l’utile veniva ripartito tra tutto il personale e il proprietario. Questo sistema incentivava i dipendenti a dare il meglio di loro stessi spontaneamente, senza comandi né imposizioni. Fabrizio era orfano di madre, lei morì pochi giorni dopo la sua nascita, il padre, stravolto dal dolore, per non impazzire si dedicò corpo e anima all’ ingegneria idraulica, facoltà in cui si era laureato ma solo poche occasioni aveva messo in pratica i suoi insegnamenti. Chiuse il grande palazzo, affidò la gestione dell’estesa proprietà all’ amministratore e al fattore e sparì. Vagò senza meta nei luoghi più isolati del grande feudo, immergendosi in lavori pesanti e snervanti pur di non pensare. Si rivelò un genio, costruì cisterne, bagni dotati di acqua corrente, calda e fredda, e ne dotò i casolari, ideò vere e stupefacenti soluzioni, anticipando la modernità degli anni a venire. Il piccolo Fabrizio rimase solo a borgo, grazie alla gente del luogo fu accudito e amato, una donna, Anita, lo allattò insieme a il proprio figlio Ruggero, per quattro anni il bambino visse con loro. Improvvisamente, riapparve il padre Luciano, trasferì la famiglia che l’aveva cresciuto, in una località lontanissima da borgo, affidò Fabrizio ad una balia e ad un istitutore, ricondusse il figlioletto nel palazzo e nuovamente si dileguò. La disperazione del bambino fu penosa, cercava la sua balia, intervenne la gente di borgo a distrarlo, amandolo con una tenerezza sconfinata, l’istitutore acconsentiva che il piccolo si distraesse con gli altri bambini del luogo, in loro compagnia il piccolo orfano ritornò ad essere felice. Passarono gli anni, crescendo, Fabrizio conobbe la verità. Il suo trasporto verso loro non variò nel tempo ma si accrebbe. Senza nessun dubbio decretò loro come la propria famiglia. Condivise con gli abitanti del luogo, il susseguirsi gli eventi della vita. Nell’amore, nel rispetto, nella comprensione e nel sincero legame affettivo radicato in ognuno di loro questo era il segreto che distingueva l’unicità di persone impagabili e uniche. Borgo era dotato di un presidio sanitario, lo stesso utilizzato negli anni passati, durante il terremoto che aveva sconvolto la regione; una scuola, pluriclasse, una Chiesa e tanti altri servizi a disposizione della comunità. Il parco e i saloni del palazzo, per volere dei proprietari, in alcune ricorrenze si trasformavano luoghi comuni di accoglienza e svago. La prima festa, fu l’ingresso di Marianna dopo il matrimonio con Fabrizio, anch’essa orfana dei genitori, scomparsi a causa di una epidemia mortale, la bambina ai tempi dei fatti era molto piccola. Ebbe come tutore, il fratello del padre, Gualtiero aiutato dalla presenza amorosa della balia Clara, la crebbero con dedizione e amore. Lo sposo, con l’aiuto dell’amico fraterno Carlo, Clara, e altri amici dello zio di Marianna, unitamente agli abitanti di Borgo organizzarono un’accoglienza gioiosa per attutire alla giovane l’impatto della nuova vita e della nuova casa. Seguirono nel tempo altre feste trascorse, come quelle di Natale, a palazzo nessuno escluso. In questo clima di fiducia e collaborazione, anche Borgo si industrializzò. Fabrizio riordinò la proprietà vendendo i terreni più lontani, gli allevamenti di bestiame vennero trasferiti in montagna, dove pascoli e acqua abbondavano, costruì un caseificio, il prodotto risultò per la sua genuina qualità competitivo sul mercato, seguì l’industrializzazione del vino e dell’olio, modernizzando i macchinari, venduti in bottiglie etichettate. Il personale fu incrementato nel numero e nella qualità. I nuovi assunti venivano addestrati nelle varie mansioni dal personale anziano di Borgo.

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